sabato 13 agosto 2016

Roma: l'Emporium, la Porticus Aemilia e gli scavi archeologici sotto il Nuovo Mercato di Testaccio


Durante l'evento OPEN HOUSE quest'anno abbiamo potuto visitare alcuni luoghi nascosti e normalmente non fruibili al pubblico.

Tra questi le guide volontarie e "volenterose" ci hanno guidato nel quartiere Testaccio alla scoperta di un nuovo parco pubblico creato in occasione del restauro della Porticus Aemilia, negli scavi archeologici ancora in corso nelle fondamenta del nuovo mercato del quartiere, e tra i resti dell'Emporium, il porto fluviale dell'antica Roma sulla riva sinistra del Tevere.

Nel II secolo a.C. venne costruito a sud dell'Aventino, fuori dalla Porta Trigemina delle mura repubblicane, l'Emporium.

resti dell'Emporium
Il nuovo porto andò a sostituire quello più antico che sorgeva davanti al Foro Boario, divenuto insufficiente per l'incremento della popolazione, dopo la seconda guerra punica.

Tevere e resti lapidei dell'Emporium
- Nel 193 a.C. Marco Emilio Lepido e Lucio Emilio Paolo furono i due edili curuli che iniziarono i lavori del porto, che venne terminato nel 174 a.C. dai due censori Quinto Fulvio Flacco e Aulo Postumio Albino.

Il porto era costituito da un'area recintata, lastricata, e con pietre d'ormeggio in travertino per le barche.

Marmi, grano, vino e olio provenivano da tutto il Mediterraneo e dal porto di Ostia venivano trasportati fin qui da chiatte tramite alaggio, trainate cioè contro corrente con funi tirate a terra da bufali.

- Nel I secolo d.C. si costruì un edificio costituito da una doppia serie di grandi ambienti rettangolari alti 4m, allineati al fiume, ricoperti a volta, e con lucernari rivolti verso il Tevere e porte carraie sul lato opposto.
La banchina era lunga 500m e profonda 90m, con gradinate e rampe verso il fiume.


La struttura si articolava su tre livelli: banchina, magazzini e piano superiore, che ospitava uffici e ambienti per stivare le merci; quest'ultimo andò distrutto, ma rimangono tracce del pavimento in mosaico.

ambienti voltati dell'edificio portuale visti dalla banchina usata nei periodi di piena
ambienti voltati dell'edificio portuale
- Successivamente (II secolo d.C.), per contenere le continue inondazioni, si costruì una nuova struttura a ridosso del lato del fiume: un lungo muro di fondazione e una serie di camere coperte a volta, chiuse da un muraglione inclinato.


In questa maniera si era costituita una banchina, che venne pavimentata con lastre di travertino, dove scaricare e smaltire le merci nei periodi di piena del fiume.

banchina del porto (II sec.d.C.)
resti della pavimentazione in travertino della banchina
strutture del porto fluviale romano sull'argine del fiume
I magazzini più vecchi, già in parte interrati, vennero ristrutturati soppalcandoli e creando una serie di nuovi ambienti a volta.

magazzini più antichi ristrutturati per creare nuovi ambienti voltati
ambiente voltato ristrutturato nella seconda fase
nuovi ambienti creati in una seconda fase nei magazzini più antichi
resti delle volte degli ambienti ristrutturati
Il criptoportico, che divideva le due file di ambienti, era lungo 250 m ed era illuminato da lucernari nella volta.
In corrispondenza dei lucernari sul pavimento del criptoportico vi erano pozzetti di scarico per le acque piovane, collegati alla fogna.

criptoportico dell'edificio portuale
fine del tratto di criptoportico scavato
criptoportico affiancato da ambienti di immagazzinamento delle merci
lucernario del criptoportico
pavimentazione di un ambiente laterale al criptoportico
continuazione del criptoportico
Sopra al criptoportico, vi era un corridoio con pavimento a mosaico, sul quale s'affacciavano gli uffici portuari.

- Nel IV secolo d.C. il criptoportico e gli ambienti ipogei furono abbandonati e colmati di terra e detriti.


ambiente interrato con radici di vegetazione sovrastante
terra e detriti negli ambienti portuali
- Come testimonia il ritrovamento di alcune sepolture in situ, nel VI/VII secolo d.C. le strutture portuali della riva sinistra del Tevere vennero abbandonate definitivamente.


Il nuovo punto focale della città era divenuto infatti il Vaticano, posto sulla riva opposta del fiume.

- Il porto venne riportato alla luce nel 1952 e gli scavi iniziarono nel 1979.


reperto in pietra appartenuto al complesso portuale
reperto in pietra appartenuto al complesso portuale
Ancor oggi le piene del Tevere inondano gli ambienti scavati dagli archeologi, e sono necessari continui lavori di manutenzione del sito.

secchi con fango rimosso
Si sa che in epoca repubblicana anche sulla riva destra del Tevere vi era una banchina del  porto, ma non molto è rimasto.
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Sempre nel 193 a.C. Marco Emilio Lepido e Lucio Emilio Paolo costruirono alle spalle dell'Emporium il più vasto edificio commerciale costruito dai romani: la Porticus Aemilia, che dalla gens Aemilia a cui appartenevano i due edili prese il nome.

resti delle arcate della Porticus Aemilia all'ingresso del parco pubblico su Via Rubattino
resti delle arcate in opera cementizia e opera incerta della Porticus Aemilia all'ingresso del parco pubblico su Via Rubattino
resti delle arcate in parte tamponate della Porticus Aemilia all'ingresso del parco pubblico su Via Rubattino
arcata in opera cementizia e opera incerta della Porticus Aemilia all'ingresso del parco pubblico su Via Rubattino
Come l'Emporium anche questo edificio fu terminato nel 174 dai censori Quinto Flavio Flacco e Aulo Postumio Albino.

Poticus Aemilia nella Forma Urbis
L'edificio, costruito in conglomerato cementizio (opera cementizia), era rivestito da blocchetti di tufo (opera incerta).
Misurava 487 X 60 m ed era compreso tra le attuali vie Franklin, Marmorata (l'antica via Ostiensis), Branca e Vespucci, occupando un'area di 25.000m².

ipotesi ricostruttiva della Porticus Aemilia
L'edificio era diviso in 50 navate da 300 pilastri che formavano 350 arcate.
Ogni navata era larga 8,30 m.
Le navate erano attraversate da sette corridoi trasversali con funzioni diverse.


Le coperture avevano volte a botte degradanti a due a due verso il fiume.
Il dislivello di 8m tra i magazzini e il porto era colmato con una pendenza del 16%.

sezione della Porticus Aemilia
Il pavimento dell'edificio era in terra battuta.
Al di fuori della struttura si sono trovate fistule collegate ad una fontana pubblica.

L'utilizzo della Porticus Aemilia è ancora dibattuto: si pensa che fosse un magazzino per lo stoccaggio delle merci del vicino porto fluviale, ma si è avanza anche l'ipotesi che fosse una darsena militare sul Tevere (Navalia), o un luogo dove avvenivano i controlli fiscali sugli approvvigionamenti.

Nel I secolo d.C. la Porticus Aemelia fu ristrutturata in opera mista di laterizi e blocchetti di tufo, che suddivisero le grande navate in ambienti più piccoli e funzionali.
Si pensa che questi ambienti servissero ad immagazzinare il grano, per gli avancorpi in muratura in prossimità degli ingressi per bloccarne l'uscita.

Questi edifici vennero abbandonati in maniera progressiva durante il IV/VI secolo d.C.
Addossate alle strutture, in parte crollate, vennero interrate sepolture in anfore appartenute a persone di rango sociale basso.

Quest'area in epoca medievale e poi rinascimentale venne piantata a orti e giardini, vigne e frutteti.

In tempi più recenti l'area è stata occupata da una vetreria, da un deposito di acque minerali e da una carrozzeria.

resti della Porticus Aemilia
L'area è stata recuperata dal degrado nel 2010 e nel 2014 si è aperto intorno ai ruderi della Porticus Aemilia un parco pubblico urbano, nelle quali si possono esprimere artisti di street art e arte contemporanea.

resti della Porticus Aemilia
resti della Porticus Aemilia
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Questi due siti sono da collegare tra loro per la loro importanza in ambito commerciale: il porto aveva infatti bisogno di magazzini per lo stoccaggio delle merci, tra le quali vi erano grandi quantità di anfore che, quando non più utilizzabili, dovevano essere smaltite e per questo accatastate.

Le anfore potevano essere rotte e sovrapposte, coccio su coccio, a formare una collina, come nel caso del vicino Monte Testaccio (via Zabaglia), o potevano essere usate come materiale di recupero da costruzione, o usate come tali per i muri di ambienti adibiti al loro stesso stoccaggio, come emerso nello scavo archeologico sotto il Nuovo Mercato di Testaccio.

scavi sotto il Nuovo Mercato di Testaccio
Da quest'area vasta un ettaro, posta tra via Galvani, via Franklin, via Ghiberti e via Manuzio, è stata portata alla luce una stratigrafia che dall'età tardo repubblicana/primo imperiale giunge sino all'età moderna:

- del I secolo a.C./I secolo d.C. sono gli ambienti coperti e i cortili scoperti (viabilità di servizio), con muri realizzati con anfore svuotate e reimpiegate impilate, che occupano il settore Nord-Occidentale e Occidentale dell'area.
Era questa un'ampia area di discarica per materiali edilizi di reimpiego (anfore e laterizi).

muretti con anfore di reimpiego trovati negli scavi sotto il Nuovo Mercato di Testaccio
muretti con anfore di reimpiego trovati negli scavi sotto il Nuovo Mercato di Testaccio
scavo archeologico ancora in corso sotto il Nuovo Mercato di Testaccio
vari tipi di  anfore di reimpiego trovati negli scavi sotto il Nuovo Mercato di Testaccio
visita guidata all'interno degli scavi archeologici ancora in corso
Le anfore olearie sono di provenienza spagnola e africana, mentre quelle vinarie sono galliche, cretesi e orientali.

- del II/III secolo d.C. è l'edificio a forma trapezoidale del settore Occidentale.
Era un horreum, con file di ambienti rettangolari che affacciavano su un piazzale porticato centrale.
Di questo edificio sono rimasti solo i livelli di costruzione.
Fu infatti spogliato in epoca tardo antica fino al livello del pian terreno.

resti del horreum ritrovato durate gli scavi del Nuovo Mercato di Testaccio
Anche l'edificio a pilastri che sorgeva nel settore Orientale costruito nella stessa epoca fu spoliato.

Nel III/IV secolo d.C. l'area fu abbandonata.

In età medievale si assiste ad una frequentazione sporadica, mentre in epoca successiva diviene terreno agricolo (si sono ritrovati i resti di un casale e del Vicolo della Serpe).

Nell'Ottocento Testaccio è divenuto un quartiere periferico di Roma.

Oggi si sta cercando di riqualificare l'intero rione, e tutto ciò che di antico esiste ancora, creando un Percorso museale diffuso.

Oltre alla Porticus Aemilia infatti furono costruiti altri magazzini: gli Horrea Galbana, gli Horrea Lalliana e gli Horrea Seiana.

Nell'attuale Via Marmorata sorgevano la Schola Collegi, un edificio per riunioni di un collegio di età imperiale (oggi all'interno di un cortile di un palazzo), e di fronte a questo l'Arco di S.Lazzaro di età romana e medievale.

Arco di S.Lazzaro
Si che pensa l'arco facesse parte degli edifici connessi dell'Emporium, per la sua vicinanza al Tevere  e al Ponte Sublicio.
L'arco monumentalizzato in epoca tardo medievale era chiamato anche "di Orazio Coclite" sempre per la vicinanza al ponte legato alle gesta del famoso eroe romano.

Arco di S.Lazzaro
Le processioni durante la Settimana Santa che partivano dalla Chiesa della Bocca della Verità e si dirigevano verso il Monte Testaccio (che rappresentava il Calvario), passavano presso questo arco.
Nel XV secolo venne costruita nei pressi dell'arco la Chiesa di S.Lazzaro, e il fornice prese da allora l'attuale nome di Arco di S.Lazzaro.

Sempre dalle fondazioni di un palazzo di Piazza dell'Emporio venne alla luce un'enorme statua policroma di Minerva seduta sul trono.

Minerva (oggi al Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo alle Terme)
Il volto e il collo della statua andarono perduti e vennero sostituiti dal calco in gesso dell'Athena Carpegna.
Il resto della statua è di marmo lunense, basalto e alabastro.
Oggi la statua si trova al Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo alle Terme.

In Piazza S.Maria Liberatrice invece il console Sergio Sulpicio Galba fece erigere il suo sepolcro in età repubblicana (oggi conservato all'Antiquarium del Celio).

E sempre per citare un sepolcro monumentale la Piramide Cestia, fatta costruire in soli 330 giorni tra il 18 e il 12 a.C. da Caio Cesto, un sacerdote incaricato della cura dei banchetti in onore degli dei.

Piramide Cestia
E per citarlo ancora, il Mons Testaceus (Monte Testaccio o Monte dei cocci) in Via Zabaglia che tra il I e il III secolo d.C. arrivò a misurare 49m d'altezza, innalzandosi con l'accumulo dei cocci di anfora posti uno sull'altro: "cocci" in latino si diceva "testae", e da questa parola deriva il nome del quartiere Testaccio.

vista aerea del Monte Testaccio
Monte Testaccio
La maggior parte delle anfore olearie qui accumulate provenivano dalla Betica (l'attuale Andalusia), e dovevano essere distrutte per la rapida alterazione dei residui dell'olio.
 
cocci di anfore del Monte Testaccio
cocci di anfore del Monte Testaccio
La calce veniva interposta tra i cocci sia per tenerli insieme, sia per eliminare i problemi della decomposizione dell'olio.


Ancora nel rione Testaccio si possono ammirare parte delle Mura Aureliane con la Porta S.Paolo di tarda età imperiale.

resti delle Mura Aureliane
Porta S.Paolo
Per celebrare le campagne di scavo autorizzate dal Pontefice Pio IX Mastai Ferretti (ultimo sovrano dello Stato Pontificio), venne costruita nel 1869 nel parapetto del muraglione la Fontana di Pio IX sul Lungotevere Testaccio.

Fontana di Pio IX sul Lungotevere Testaccio
La fontana, in marmo bianco, travertino e laterizio, è composta da un sarcofago antico (III secolo d.C.) e da una protome leonina che funge da bocchettone dell'acqua.

sarcofago romano antico strigilato e protome leonina della fontana
stemma di Pio IX
dedica della fontana

CONCLUSIONI
Un percorso museale diffuso offre l'occasione di scoprire angoli inaspettati e celati di quartieri che si pensa di conoscere, e che divengono per alcuni aspetti nuovi.
A Roma basta scavare per nuove condutture o per nuovi tratti della Metropolitana che affiorano tesori sepolti da millenni, e ciò che a Testaccio si sta cercando di fare potrebbe essere ripetuto per altri rioni.
Peccato che certi siti si possano visitare solo grazie alla disponibilità di volontari che si prestano col loro tempo e le loro conoscenze a mostrare luoghi sconosciuti ai più, che altrimenti rimarrebbero tali.


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