sabato 25 marzo 2017

Le statue di Roma alle quali è stata data la parola


"Cristoggesummaria, cc'antro accidente!
Sete una gran famijja de bbruttoni.
E nnun méttete in pena ch'io cojjoni,
perché pparleno tutti istessamente.

Dar grugno de tu' padre a li meloni,
cuelli mosini, nun ce curre ggnente:
e ar vedé mmamma tua, strilla la ggente:
"Monaccallà, ssò ffatti li bbottoni?"

Tu, senza naso, pari er Babbuino:
tu' fratello è er ritratto de Marforio,
e cquell'antro è un po' ppeggio de Pasquino.
Tu e Mmadama Lugrezzia, a sti prodiggi,
v'amanca de fà cchirico Grigorio,
pe mmette ar mucchio l'Abbate Luiggi."
                                                                 "UNA CASATA" - Gioacchino Belli

I rappresentanti della cosiddetta "Congrega degli Arguti", ancor più noti come "Statue Parlanti", citati in questo sonetto di Gioacchino Belli, sono sei statue posizionate in strade del centro storico di Roma, percorse in tempo passato da cittadini romani, da pellegrini e da processioni papali.

I loro nomi sono: Pasquino, Marforio, Abate Luigi, Madama Lucrezia, il Babbuino e il Facchino.

Dal XVI al XIX secolo queste statue furono le portavoci dei dissensi del popolo e oggetto dell'attenzione di cardinali, nobili e uomini potenti, ma soprattutto dei sovrani romani, ossia dei papi che si sono succeduti durante questi secoli sul trono di S.Pietro.

Ad esse venivano infatti affissi componimenti satirici e critiche contro i governanti, le così chiamate "pasquinate", dal nome della statua parlante più famosa: il Pasquino.

Le "pasquinate" erano scritte in romanesco o in latino, e dato che la quasi totalità della popolazione romana era a quell'epoca analfabeta, si può dedurre che la satira irriverente e sincera fosse opera di cittadini non di umili estrazioni sociali.

Alcuni papi, capendo il potere che potessero avere questi scritti anonimi, che venivano affissi durante la notte approfittando del buio delle strade, fecero vigilare sulle statue giorno e notte, promettendo pene severe, provvedimenti che però non portarono ad alcun risultato.

Sono molte le "pasquinate" divenute celebri, ma volendo citare le più recenti, lo scorso secolo in occasione della visita a Roma di Hitler, la città fu tappezzata di cartone per nascondere la povertà della periferia, e comparve questa satira:
"Povera Roma mia in travertino!
T'hanno vestita tutta de cartone
pe' fatte rimirà da n'imbianchino
tuo prossimo padrone".
Durante la visita dello statista russo Mickail Gorbaciov fu questa invece la "pasquinata" scritta per l'occasione:
"La Perestrojka nun se magna
da du' giorni ce manni a pedagna
sarebbe er caso da smammà 
ce cominceno a girà".
Veniamo ora a conoscere le "statue parlanti " singolarmente.

Pasquino

Pasquino
Sicuramente Pasquino è la più famosa "statua parlante" di Roma.

Dal 1501 il Pasquino si trova dietro Piazza Navona, nella piazza che oggi prende il suo nome, ma che un tempo veniva chiamata Piazza Parione.

E' un busto maschile del I secolo d.C. in marmo, che forse faceva parte di un classico gruppo scultoreo in cui rappresenta re Menelao che porta via Patroclo colpito a morte da Ettore (Iliade - libro VII).
Probabilmente è la copia di un originale ellenistico in bronzo attribuito ad Antigonos, uno scultore di Pergamo del III secolo a.C.

La statua rappresenta quindi un eroe o un re dell'antica Grecia.
Faceva forse parte delle decorazioni del vicino Stadio di Domiziano (oggi occupato da Piazza Navona).

Fu ritrovato durante i lavori di pavimentazione stradale e ristrutturazione di Palazzo Orsini, l'attuale Palazzo Braschi, e posizionato per volere del cardinale Oliviero Carafa, cultore delle arti e mecenate, all'angolo di quello che allora era il suo palazzo, e per questo vi fece applicare lo stemma della sua famiglia insieme ad un cartiglio celebrativo.

Palazzo Braschi con la statua del Pasquino
Si dice che il nome della statua deriverebbe dal fatto che fosse stata ritrovata presso una bottega di un barbiere o di un'osteria, il cui proprietario si chiamava Pasquino, anche noto per i suoi versi satirici.
In alternativa si tramanda che vi fosse un docente di grammatica latina di una scuola nelle vicinanze, dalle sembianze simile alla statua, i cui studenti
lasciarono i primi fogli satirici.

Durante la festa di S.Marco (25 aprile) la statua, che si trovava lungo la cosiddetta Via Papale percorsa in processione dal papa, veniva abbigliata come fosse una divinità, e su di essa venivano collocati gli epigrammi dei certami accademici (gare letterarie), che si tenevano sulla piazza.

Il primo papa al quale venne indirizzata una "pasquinata" fu nel 1501 Callisto III:
"Ai poveri su' Apostoli la Chiesa
avea lasciato Cristo;
preda dei ricchi sui nipoti è resa
oggi dal buon Callisto".

Con queste parole papa Alessandro VI Borgia fu colpito dalla satira della statua:
"Qui giace Alessandro VI. E' sepolto con lui quanto venerò: il lusso, la discordia, l'inganno, la violenza, il delitto".
A papa Giulio II vennero indirizzate le pungenti parole:
"Sbagliò destino, Giulio, a darti le chiavi.
Avrebbe fatto meglio a darti le clave".

Una delle più conosciute "pasquinate" venne rivolta a papa Urbano VIII Barberini, per aver sottratto nel 1633 il bronzo dal Pantheon per costruire il baldacchino della Basilica di S.Pietro,:
"Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini
                                 ("Ciò che non fecero i barbari, fecero i Barberini").

A papa Alessandro VIII Ottoboni venne invece indirizzata la seguente:
"Allegrezza! Per un papa cattivo abbiamo Otto-Boni".  

Alla vicinanza della morte di papa Clemente XI  fu scritto:
"Dacci un papa miglior, Spirito Santo, 
che ci ami, tema Dio, né campi tanto".

Per le impertinenze che venivano affisse su questa statua parlante, papa Adriano VI diede l'ordine di gettare il Pasquino nel Tevere, ma la precoce morte del pontefice impedì questa perdita.
Per la morte di questo papa tumulato nella vicina Chiesa di S.Maria dell'Anima venne scritto:
"Papa Adriano è chiuso qui. Fu un tristo: 
con tutti ebbe a che far, fuorché con Cristo".

A Sisto V che tassava il popolo romano per ristrutturare Roma vennero rivolte le seguenti parole:
"Fu Neron crudel, maligno e tristo,
ma molto più di lui fu papa Sisto".
Venero rivolte queste parole a Donna Olimpia Pamphilj, detta la "Pimpaccia", la nobildonna che seppe manovrare il cognato papa Innocenzo X, che abitava a pochi passi dal Pasquino:
"Chi dice donna dice danno,
 chi dice femmina dice malanno,
 chi dice Olimpia Maldachina
 dice donna, danno e rovina".
 E ad Innocenzo X:
"Ad Innocenzo decimo, ottimo patrono del fisco e dell'annona massima mercante, che annientò il nepotismo per istituire il cognatismo".
Già nel 1509 fu pubblicata una raccolta delle famose "pasquinate".

Al Pasquino anche Trilussa dedicò un sonetto: 

Povero mutilato dar Destino,
come te sei ridotto!»
diceva un Cane che passava sotto
ar torso de Pasquino  
«Te n’hanno date de sassate in faccia!
Hai perso l’occhi, er naso… E che te resta? 
un avanzo de testa 
su un corpo senza gambe e senza braccia!
Nun te se vede che la bocca sola 
con una smorfia quasi strafottente…» 
Pasquino barbottò: «Segno evidente
che nun ha detto l’urtima parola».
Nino Manfredi nel film di Luigi Magni "Nell'anno del Signore" interpretò la parte di colui che si celava dietro la satira di Pasquino.

Marforio

Marforio
La "spalla" di Pasquino è stata spesso un'altra delle statue parlanti, la statua di Marforio.
 
La statua del II/III secolo d.C. lunga oltre 6m, ha le sembianze di un uomo barbuto disteso su un fianco, ed è ubicato oggi nel cortile di Palazzo Nuovo all'interno dei Musei Capitolini.

Proviene dalla parte settentrionale del Foro Romano, e rappresenta forse l'allegoria del Tevere o forse Oceano, divinità che soprintendeva a tutte le acque del mondo.

Nel 1588 Sisto V convertì la statua in fontana e la spostò prima in Piazza S.Marco, e poi sulla Piazza del Campidoglio.
Nel 1592 fu inserita qui in una quinta architettonica progettata da Giacomo della Porta.
Fu poi nel XVII secolo papa Innocenzo X a farla porre nel sito attuale, e nel 1733 in occasione della trasformazione dell'edifico in Museo Capitolino, fu inserita in un prospetto architettonico affidato a Filippo Barigioni.

Marforio nel prospetto architettonico di Filippo Barigioni
Per alcuni il soprannome della statua proverrebbe da "Marte in Foro" ("Martis Forum"), in quanto la statua originariamente si trovava presso il Tempio di Vespasiano, che nel Rinascimento era creduto essere il Tempio di Marte.
Il nome Marforio derivererebbe invece per altri dalla scritta non più visibile "Mare in Foro", teoria questa che propenderebbe anche per attribuire alla statua sembianze di divinità marina.

La grande vasca rotonda che accompagnava la statua fu invece lasciata nel Foro e, munita di un bocchettone scolpito da Giacomo della Porta, divenne un abbeveratoio per i cavalli e il bestiame.
La vasca fu poi trasferita nel 1816 da papa Pio VII sotto la statua dei Dioscuri posta davanti all'ingresso del Palazzo del Quirinale.

Tra le "botta e risposta" che Pasquino e Marforio si scambiavano una che riguarda l'occupazione francese del 1808/1814 è divenuta molto famosa:
Marforio: "E' vero che i Francesi sono tutti ladri?"
Pasquino: "Tutti no, ma Bona Parte".

Abate Luigi

Abate Luigi
Queste sono le parole dell'epitafio inciso sulla base di questa statua anch'essa membro della "Congrega degli Arguti":

"Fui dell'antica Roma un cittadino
ora abate Luigi ognun mi chiama
conquistai con Marforio e con Pasquino
nelle satire urbane eterna fama
ebbi offese, disgrazie e sepoltura
ma qui vita novella e al fin sicura".
(Giuseppe Tomassetti)

iscrizione sulla base della statua dell'Abate Luigi
La statua dell'Abate Luigi è posta lungo il muro sinistro esterno della Chiesa di Sant'Andrea della Valle in Piazza Vidoni, non lontana anch'essa da Piazza Navona.

Abate Luigi lungo il muro esterno della Chiesa di Sant'Andrea della Valle
Si tratta della statua in marmo bianco di epoca romana tardo-imperiale rappresentante un uomo vestito con toga che stringe in una mano una pergamena, un oratore, un console o un magistrato.

Fu rinvenuta agli inizi del Cinquecento durante gli scavi per l'ampliamento di Palazzo Caffarelli-Vidoni, area occupata in epoca romana dal Teatro di Pompeo.

Forse prese il nome di "Abate Luigi" dal nome di un sacrestano della vicina Chiesa del SS.Sudario, il quale vi assomigliava.

La statua cambiò collocazione diverse volte, ma nel 1924 fu infine riposizionata nella sua sede originale.
Dall'incrocio tra Via del Sudario e Vicolo dell'Abate Luigi (vicolo scomparso dopo il 1870), ornò poi lo scalone all'interno di Palazzo Caffarelli-Vidoni, fu spostata in seguito nel cortile di Palazzo Chigi in Piazza Colonna, e trasferita infine in Piazza Vidoni.

La statua dell'Abate Luigi oltre alla sede cambiò spesso anche la testa.
Gli venne sottratta più volte, e sostituita con una di quelle di epoca romana che si trovavano nei magazzini comunali, come nel caso del suo posizionamento in Palazzo Caffarelli-Vidoni nel 1888.
In quell'occasione la statua "disse" di "aver perso la testa" per essersi vista alloggiata in quella sontuosa dimora.

Nel 1966 nuovamente divenuta acefala la statua sentenziò:
"O tu che m'arubbasti la capoccia
vedi d'ariportalla immantinente
sinnò, vòi véde? come fusse gnente
me manneno ar Governo. E ciò me scoccia
".

Quando invece nel 1970 le fu di nuovo rubata la testa, le venne sostituita dal calco della copia che veniva conservata al Museo di Roma in Trastevere.
Fu decapitata ancora nel 2013, durante i lavori di restauro della Chiesa di Sant'Andrea della Valle, ma questa volta appunto le venne rubata solo una copia della testa, unica parte non originale della statua!

Madama Lucrezia

Madama Lucrezia
L'Abate Luigi dialogava spesso con un altro membro della "Congrega degli Arguti" posta non lontano da lui: Madama Lucrezia, l'unica statua parlante femminile.

Madama Lucrezia è collocata sin dal '400 tra il Palazzetto Venezia e la Basilica di S.Marco, ed è stata protagonista di "pasquinate" soprattutto tra il XIV e il XV secolo.

La statua fu posizionata su una base costituita da un blocco di travertino davanti alla Basilica di S.Marco dal cardinale Lorenzo Cybo nel 1500, e successivamente spostata a sinistra della chiesa, dove oggi si trova (Piazza S.Marco 49).

Madama Lucrezia davanti al Palazzetto Venezia
Il busto di donna di epoca romana alto 3 m apparteneva per le sue dimensioni probabilmente ad una statua di culto di un tempio.
Per lo scialle sfrangiato annodato sul petto si pensa che la statua rappresentasse l'immagine di Isis-Sothis sul cane Sirio o una sua sacerdotessa, e che provenga forse dalla fronte dell'Iseo del Campo Marzio, che si trovava dove oggi è il Collegio Romano.

C'è chi ha ipotizzato che il cosiddetto "Pie' di marmo", il grande piede in marmo posizionato su un piedistallo in Via del Pie' di Marmo, fosse il piede della statua alla quale anche Madama Lucrezia apparteneva, sia per la qualità del marmo che per le dimensioni compatibili.

Pie' di marmo (Via del Pie di Marmo)
Pie' di marmo
Pie' di marmo
La statua deve il suo nome molto probabilmente a Lucrezia d'Alagno, figlia del castellano di Torre del Greco, favorita di Alfonso V d'Aragona re di Napoli, la quale nel 1457, dopo la morte del re, si era trasferita a Roma, e che la statua le fosse stata regalata dal cardinale Pietro Barbo (futuro papa Paolo II), che la ospitava nel suo palazzetto di Piazza S.Marco.
L'appellativo "madama" a quell'epoca infatti non veniva usato a Roma, ma bensì a Napoli.

Madama Lucrezia
Un'altra tesi sostiene che Lucrezia fosse invece la moglie di mastro Giacomo dei Piccini da Bologna, che nel 1536 aveva proprietà in Piazza S.Marco, dove la statua ora si trova.

Chiunque passasse davanti alla statua di Madama Lucrezia doveva togliersi il cappello.

Il primo maggio la statua veniva ornata con collane d'aglio, peperoncino, cipolle e nastri, in occasione del "Ballo dei Guitti".
Durante questa festa le coppie si dovevano inchinare davanti alla statua celebrando un matrimonio fittizio, e davanti a lei ballavano giovani, gobbi, vecchietti e poveretti.
Inoltre si diceva che il mal d'amore potesse essere guarito toccando il petto della statua.

In occasione del trasferimento di papa Gregorio XIV in fin di vita nel Palazzetto Venezia, speranzoso di un miglioramento perché lì protetto da uno steccato che attutiva i rumori dell'esterno, la statua così sentenziò:
"La Morte entrò attraverso i cancelli".
Durante la Repubblica Romana (1799), il popolo in rivolta fece cadere la statua a terra e sulle spalle di Madama Lucrezia apparve la scritta:
"Non ne posso veder più".
In questa occasione la statua si ruppe in otto parti e venne restaurata nel 1806 da Annibale Malatesta.


Babbuino

Babbuino
La statua chiamata il Babbuino, o in romanesco "er Babuino", si trova nella strada che da lui oggi prende il nome, strada un tempo chiamata Via Clementina (da Clemente VII Medici) e poi Via Paolina (da Paolo III).

Fontana del Babbuino
Raffigura un Sileno ghignante disteso su un fianco, brutto e deforme, e per questo assomigliante ad una scimmia, un "babbuino" appunto.

Forse si può anche identificare come il dio sabino Sanco Fidio Semicapro, metà uomo e metà capra, 

La statua in tufo, con testa non pertinente, ha davanti una vasca termale in marmo africano di epoca romana.

La fontana ad uso pubblico fu infatti realizzata per volere di Alessandro Grandi in onore di papa Pio V, il quale nel 1571 gli aveva concesso l'utilizzo dell'acqua dell'Acquedotto Vergine per il suo palazzo che in questa via si trovava.

La fontana semipubblica venne usata sin dal Rinascimento come abbeveratoio per cavalli.

Nel 1738 Palazzo Grandi passò ai Boncompagni-Ludovisi e la fontana e la statua furono spostate davanti al nuovo palazzo, e posizionate in una nicchia sormontata da due delfini, simboli araldici della famiglia Boncompagni. 

Nel 1877 la fontana venne smembrata per la costruzione della rete fognaria: la vasca quadrangolare divenne una fontana in Via Flaminia, davanti alla Fontana di Giulio III, mentre la statua fu posizionata all'interno dell'ex Palazzo Boncompagni.

Palazzo Boncompagni-Cerasi
La nicchia che la conteneva divenne una porta d'ingresso del palazzo (Via del Babuino 49), oggi ancora esistente.

nicchia della Fontana del Babbuino divenuta ingresso di Palazzo Boncompagni-Cerasi
delfini simboli araldici della famiglia Bonconpagni
Nel 1957 poi venne recuperata la vasca e collocata con la statua sul lato opposto della strada, davanti alla Chiesa di Sant'Attanasio dei Greci.


Facchino

Facchino
La più recente e la più piccola delle sei statue parlanti è il così chiamato Facchino, in quanto è stata realizzata tra il 1587 e i 1597.

Si trova dal 1874 in Via Lata.

fontana del Facchino sulla facciata laterale di Palazzo De Carolis
Originariamente decorava la facciata principale di un palazzetto di Via del Corso (posta a sinistra sotto la prima finestra del pian terreno), il cui posto fu preso nel '700 dal Palazzo De Carolis (oggi noto come Palazzo del Banco di Roma).

La sua incorniciatura cinquecentesca aveva un'architrave retta da pilastrini e una vasca con piede, andata perduta durante il passaggio di proprietà del palazzetto dal Del Conte a De Carolis.

La figura maschile che rappresenta la statua in marmo caristo (o cipollino), è colta nell'atto di versare acqua da una botte.
E' vestita con il costume tipico della corporazione dei facchini, e a questo deve il suo nome.
In realtà la corporazione dei facchini comprendeva gli acquaroli, coloro i quali riempivano le botti con l'acqua del Tevere o della Fontana di Trevi durante la notte, e di giorno portavano l'acqua porta a porta a pagamento.
Molti facchini si erano stabiliti nella zona dove è collocata questa statua parlante.
Questo mestiere fu in uso fino alla riattivazione degli acquedotti.

Qualcuno ha voluto riconoscere nella figura della fontanella un certo Abbondio Rizzio, personaggio famoso per le sue bevute.
Un'epigrafe scomparsa durante il trasferimento in Via Lata diceva:

"Ad Abbondio Rizio, coronato [facchino] sul pubblico selciato, valentissimo nel legar fardelli. Portò quanto peso volle, visse quanto poté; ma un giorno, portando un barile di vino in spalla e dentro il corpo, contro la sua volontà morì".

Il Facchino fu forse disegnato da Jacopino Del Conte, proprietario all'epoca del palazzetto, ma alcuni (tra i quali Vanvitelli), pensarono che l'autore fosse stato Michelangelo.

La fontana ad uso pubblico veniva alimentata dall'Acqua Vergine.


CONCLUSIONI
In un'epoca in cui non vi erano gli odierni mezzi di comunicazione, senza TwitterFacebook, le "pasquinate" furono il mezzo più efficace per esprimere malcontento, risentimenti e malumori, interpretando e dando voce ai pensieri del popolo romano, stanco dei soprusi dei potenti.
Con battute pungenti, sagaci, immediate, sincere, e a volte spietate, queste statue di pietra hanno potuto prendere vita e parlare al posto dei più deboli, prendendo in giro coloro che sembravano intoccabili, e che costituivano una vera casta.
Le statue parlanti erano un sorta di "stampa dell'opposizione", in un'epoca nella quale non vi era libertà di pensiero.
Oggi invece, per i fatti che ogni giorno capitano nell'Urbe, non solo i cittadini ma anche queste statue rimangono senza parole!

sabato 18 marzo 2017

Roma: l'Area Sacra di Torre Argentina


L'Area Sacra di Torre Argentina occupa la parte centrale del Campo Marzio, quella zona pianeggiante dell'antica Roma compresa tra il Tevere, il Campidoglio e le pendici del Pincio e del Quirinale.

pianta dei monumenti antichi del Campo Marzio e dell'Area Sacra di Torre Argentina
Forse in origine questa zona di Roma, posta tra il fiume e le antiche mura, appartenne come agro regio ai Tarquini, ma dopo la fondazione della Repubblica l'area divenne pubblica.

Il nome di Campo Marzio deriverebbe dall'antico santuario dell'Ara di Marte, sorto per la funzione anche militare della zona.

Il Campo Marzio, come zona esterna alla città e al Pomerio, vide il sorgere poi di monumenti relativi ai nuovi culti introdotti a Roma.

L'Area Sacra di Torre Argentina, il più esteso complesso di epoca repubblicana visibile a Roma, venne alla luce nel secolo scorso (1926/1929), durante gli scavi per la demolizione del vecchio quartiere esistente e la ricostruzione di una nuova zona abitativa.

Area Sacra di Torre Argentina (lato sud)





Area Sacra di Torre Argentina (lato est)

Area Sacra di Torre Argentina (lato ovest)


Durante lo scavo tra il Tempio B e il Tempio C furono rinvenute la testa, un braccio destro e frammenti dei piedi in marmo greco di un colossale acrolito femminile (= statua di culto con la testa e le parti nude in marmo, mentre il resto realizzato in bronzo o altro materiale).

Testa dell'acrolito (dall'Area Sacra di Torre Argentina - Museo Centrale Montemartini)
Viste le dimensioni della testa (1,46m), si stima che la statua  fosse alta 8m, e che si sarebbe adattata alle misure della cella del Tempio B.
E' stata attribuita a Skopas Minore, artista greco attivo a Roma.

Braccio dell'acrolito (dall'Area Sacra di Torre Argentina - Museo Centrale Montemartini)
particolare della mano dell'acrolito (dall'Area Sacra di Torre Argentina - Museo Centrale Montemartini)
Piedi dell'acrolito (dall'Area Sacra di Torre Argentina - Museo Centrale Montemartini)
La statua, oggi in mostra nella "Sala Macchine" del Museo Centrale Montemartini, avrebbe retto nell'incavo del braccio una cornucopia, simbolo della dea Fortuna.

Il rinvenimento portò alla rinuncia della costruzione edilizia e al proseguimento invece degli scavi.
L'area archeologica, denominata allora Foro Argentina, fu inaugurata da Benito Mussolini nel 1929.

Furono trovati durante gli scavi anche una Testa di Ares, replica del II secolo d.C. ispirata all'originale in bronzo realizzato da Alkamenes (420 a.C.) per l'Agorà di Atene, e il Ritratto di Platone, replica della statua commissionata da Mitridate per la scuola filosofica fondata ad Atene da Platone, realizzata dal ritrattista Silanion.
I due reperti sono anch'essi custoditi al Museo Centrale Montemartini.

Testa di Ares (dall'Area Sacra di Torre Argentina - Museo Centrale Montemartini)
Testa di Platone (dall'Area Sacra di Torre Argentina - Museo Centrale Montemartini)

Non essendoci prove certe riguardo alle divinità alle quali fossero stati dedicati i quattro templi di epoca repubblicana qui rinvenuti (due templi erano già visibili in precedenza), gli edifici di culto sono stati chiamati con le prime quattro lettere dell'alfabeto (A,B,C,D partendo da nord).

pianta dell'Area Sacra di Torre Argentina
L'area, situata alcuni metri sotto il piano stradale, si estende tra le attuali Via Florida, Via di S.Nicola dei Cesarini, Via di Torre Argentina e Largo Argentina.

monumenti antichi che delimitavano l'Area Sacra di Torre Argentina
L'area era invece in antico delimitata a nord dal cosiddetto Hecatostylum, chiamato anche "Portico delle cento colonne" o Porticus Lentulorum dai nomi dei suoi costruttori, i Lentuli.

Sempre a nord vi erano le Terme di Agrippa.

A sud la zona era delimitata da edifici relativi al Circo Flaminio.

Ad est dell'area si trovava una grande piazza porticata, la Porticus Minucia Frumentaria.

A ovest si trovavano il Teatro di Pompeo e i Portici Pompeiani.

Faceva parte di questi portici l'esedra occupata dalla Curia Pompeiana, dove fu ucciso Giulio Cesare alle idi di marzo del 44 a.C.

Curia Pompeiana
Il punto dell'area archeologica in cui accadde lo storico assassinio è oggi identificabile con un muro di tamponatura sul quale si erge un albero di pino marittimo.

Curia Pompeiana
Cicerone riporta che Giulio Cesare morì qui, sotto la grande statua di Pompeo  oggi custodita all'interno del Salone delle Adunanze generali del piano nobile di Palazzo Spada.

Pompeo (Salone delle Adunanze generali - piano nobile di Palazzo Spada)
Parte del grande podio in opera quadrata di tufo del complesso pompeiano si trova alle spalle dei templi B e C.

ricostruzione degli alzati della Curia Pompeiana
Accanto alla Curia Pompeiana, vi sono le latrine citate da Cassio Dione Cocceiano.

una latrina del portico del Teatro di Pompeo
particolare di una latrina del portico del Teatro di Pompeo

Il complesso sacro e rappresentativo ci appare oggi con l'aspetto che doveva aver avuto in età imperiale, avendo subito diverse modifiche durante i secoli.
I quattro templi erano tutti orientati verso est.


Il tempio più antico è il Tempio C, costruito tra il IV e il III secolo a.C.
Era probabilmente dedicato a Feronia, divinità italica introdotta a Roma dopo la guerra contro i Sabini di Manio Curio Dentato (290 a.C.).

Tempio C
Era un edificio di medie dimensioni (30,50 X 17,10m), periptero sine postico (cioè privo di colonnato posteriore), e tetrastilo (ovvero con quattro colonne sul fronte).

ricostruzione degli alzati del Tempio C (a destra) e del Tempio D (a sinistra)
Il tempio era posto su un basamento a blocchi quadrati di tufo, intonacato e dipinto.

Tempio C
podio del Tempio C
podio del Tempio C con basi di colonne
Era preceduto da un'imponente scalinata.

scalinata del Tempio C
In un secondo tempo alla scalinata fu addossata una piattaforma con un altare di Aulo Postumo Albino, console nel 181 a.C.

zona antistante il Tempio C con altare e pavimentazione in tufo
altare del II secolo a.C. del Tempio C
Sono stati ritrovati frammenti in terracotta della decorazione originale.
Appartengono invece a un restauro domizianeo la cella in mattoni, e il mosaico  bianco riquadrato in nero del pavimento.

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Il secondo tempio in ordine di tempo è il Tempio A, costruito alla metà del III secolo a.C. forse da Q.Lutazio Catulo (console nel 242 a.C. e antenato dell'omonimo che fece costruire poi il Tempio B), che lo volle dedicare a Giuturna, ninfa delle fonti, dopo la vittoria contro i Falerii.
Altri studiosi pensano che il tempio fosse dedicato a Iuno Curitis, dea della guerra venerata dagli Etruschi e dai Sabini.

Tempio A
Era in origine un tempio in antis, con due colonne di tufo dell'Aniene con capitelli in travertino e basi a forma di cuscino, poste davanti alla cella.

ricostruzione degli alzati del Tempio A
scalinata del Tempio A
Il tempio venne poi restaurato all'epoca di Silla e appartengono a quel periodo le colonne corinzie con basi e capitelli in travertino del colonnato costruito intorno all'edificio più antico (peristasi), che divenne la cella del nuovo tempio.

colonne del Tempio A
colonne del Tempio A
Vi erano 9 colonne laterali e 6 sui fronti, con fusti ricoperti di stucco.
Le colonne di travertino che si vedono oggi appartengono ad un restauro di epoca domizianea.

In epoca carolingia (IX secolo) venne costruita sopra questo tempio la Chiesa di S.Nicola de Calcarariis (così chiamata per i forni per la fabbricazione della calce presenti in loco), riedificata e ribattezzata nel 1611 Chiesa di S.Nicola dei Cesarini dalla famiglia che aveva proprietà in questa zona.

absidi della Chiesa di S.Nicola de Calcarariis
resti della Chiesa di S.Nicola de Calcarariis nel Tempio A
Della chiesa seicentesca demolita negli anni '20 dello scorso secolo rimangono solo i resti della chiesa medievale: un'abside con alzato in laterizio, affreschi con una Teoria di Santi, un altare a cippo del XII secolo, il pavimento cosmatesco, e  con un affresco su un pilastro tra le due navate della chiesa.

altare a cippo, resti di pavimento cosmatesco, affreschi con Teoria di Santi e riquadri dipinti in finto marmo
Rimangono anche la cripta semianulare del IX secolo e un'absidiola dalla muratura in tufelli e resti pittorici a riquadri che imitano marmi policromi.

lacerti di pittura medievale della Chiesa di S.Nicola de Calcarariis
particolare della muratura di una delle due absidi della Chiesa di S.Nicola de Calcarariis
Il Tempio A venne costruito sullo stesso livello del Tempio C, sul piano di campagna.
Le loro are in peperino erano poste nelle zone sottostanti i tempi, sopraelevate di lcuni gradini rispetto al terreno circostante.
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All'inizio del II secolo venne costruito il Tempio D, dedicato ai Lares Permarini, divinità protettrici dei naviganti, voluto da Lucio Emilio Regillo e dedicato al censore Marco Emilio Lepido.

Tempio D
Recentemente si è voluto identificarlo come il Tempio delle Ninfe che sorgeva nella Villa Pubblica, e nel quale erano conservate le liste per la distribuzione del "frumentum publicum", la distribuzione gratuita della razione di grano ai cittadini romani aventi diritto.

Questo è il più grande dei quattro tempi repubblicani di quest'area.
Parte del tempio è ancora celata sotto Via Florida.
Tempio D
Era un tempio prostilo e forse esastilo.
Ha un orientamento leggermene ruotato rispetto agli altri tempi.

podio del Tempio D
Oggi appare tutto in travertino, opera di un restauro tardo-repubblicano (I secolo a.C.).
La costruzione più antica era in opera cementizia.
La cella era rettangolare ed era preceduta da un pronao a 6 colonne.


Dopo l'incendio scoppiato nel 111 a.C. fu costruito al di sopra dell'originale livello di calpestio un pavimento in tufo, collegando i tre templi già esistenti nell'area, e alzando il piano di 1,40m.
In questo modo vennero tagliati a mezza altezza i podi dei templi.

Il pavimento in tufo occultò gli altari originali e le piattaforme.

L'originale altare del Tempio C venne sostituito da un nuovo altare rimasto integro, che reca un'iscrizione che ricorda il suo rifacimento ad opera di Aulo Postumio Albino, console nel 155 a.C.

ricostruzione dell'altare del Tempio C con l'iscrizione di Aulo Postumio Albino
Dell'altare del Tempio A rimane invece solo la cornice inferiore.
Sono forse anche di questo periodo i resti (zona Nord-Ovest) del colonnato che circondava l'area pavimentata.
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Il più recente e l'unico a pianta circolare dei tempi dell'Area Sacra di Torre Argentina è il Tempio B (Aedes Catuli), fatto costruire nel II secolo a.C. da Q.Lutazio Catulo (console insieme a Silla nel 102 a.C.), dopo la battaglia di Vercelli del 101 a.C. che designò la vittoria romana contro i Cimbri.

Tempio B
Tempio B (retro)
Fu costruito nello spazio rimasto libero tra il Tempio A e il Tempio C.

Basandosi su un passo del De Re Rustica di Varrone (II,5,12) è identificabile come Aedes Fortuna Huiusce Diei, ossia il tempio della "Fortuna del giorno presente".

Tempio B
Del tempio rimangono il podio modanato e 6 delle colonne in tufo ricoperte di stucco con basi e capitelli in travertino.

Apparteneva a questo tempio l'acrolito, già menzionato, che bloccò i lavori di riedificazione del quartiere nello scorso secolo.

Della decorazione di questo edificio rimane anche un fregio in marmo con girali, che forse ornava la parte alta della costruzione.

ricostruzione dell'alzato del Tempio B
Era in origine un tempio posto su un alto podio, con cella in opera incerta, circondata da colonne.

prima fase di costruzione del Tempio B
podio del Tempio B (muratura della prima fase di costruzione)
In epoca domizianea si abbatterono i muri della cella e si chiusero con muri di lastre di tufo gli intercolumni.
Il tempio divenne così pseudoperiptero.

seconda fase di costruzione del Tempio B
Come conseguenza dell'allargamento della cella venne anche allargato il podio, a ridosso del primo.

allargamento del podio (seconda fase di costruzione)
In una seconda fase, dopo l'80 d.C. vennero chiuse le facciate con un muro in laterizio intonacato, decorato con lesene in stucco, e vi fu un ulteriore ampliamento del podio in laterizio.

intercolumni in laterizio intonacato e con lesene
intercolumni in laterizio intonacato e con lesene
La scalinata d'accesso al tempio era in travertino e fiancheggiata da due guance di tufo dell'Aniene, due basamenti rettangolari che fungevano da piedistalli per statue provenienti dalla Grecia offerte i dono.
Era questo forse uno dei tempi più ricchi di Roma.

scalinata del Tempio B
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L'Area Sacra era forse la Porticus Minucia Vetus, edificata dal console M.Minucio Rufo nel 110 a.C. dopo la vittoria sugli Scordisci, popolo della Tracia (107 a.C.).
Ma la mancanza di un portico perimetrale rende difficile l'identificazione.

In epoca imperiale si ebbe un incendio nell'80 d.C., che portò ad alcune modifiche dell'area e dei suoi monumenti, volute in gran parte da Tito Flavio Domiziano.

Vennero spianate le macerie dovute all'incendio e costruito sopra un pavimento in lastre di travertino, ancora oggi visibili.

pavimentazioni di travertino tra il tempio A e il Tempio B
pavimentazione di travertino davanti alle scalinate dei tempi
Questo portò all'accorciamento e all'arretramento delle scalinate.
Gli altari vennero invece posizionati all'interno delle celle.

Vennero anche ricostruiti o restaurati gli alzati dei tempi danneggiati insieme al portico settentrionale.

Tra il I e il III secolo venne innalzato un muro che chiuse i fronti dei tempi.
In questo modo fu possibile creare degli ambienti in opera laterizia dietro e tra i tempi A e B.

Di epoca augustea sono le vasche ricoperte poste tra la Curia Pompeiana e il Tempio B. 

edifici del I/III secolo d.C. dietro il Tempio B
edifici del I/III secolo d.C.
Parte di questi nuovi ambienti servirono come uffici per la distribuzione del grano e l'uso degli acquedotti (Statio Aquarum).
Questi ambienti si possono ancora vedere tra il Tempio A e il Tempio B.

Statio Aquarum
un ambiente della Statio Aquarum con pavimento in mosaico
L'area subì un abbandono nel V secolo, mentre in epoca tardoantica sorse qui un complesso monastico per l'accoglienza dei poveri e dei pellegrini.
La sala rettangolare di fronte al Tempio A sarebbe stata infatti il refettorio dello Xenodochium Aniciciorum, fondato dal filosofo Severino Boezio.

resti del complesso monastico
Nel VI secolo vennero chiusi gli intercolumni del portico settentrionale creando un corridoio coperto.

portico settentrionale (Hecatostylum)
portico settentrionale (Hecatostylum)
Intorno e nel Tempio A sorse, come già detto, un oratorio, trasformato successivamente in chiesa.

ambienti della chiesa medievale alle spalle del Tempio A
ambienti della chiesa medievale alle spalle del Tempio A
Furono costruite poi tra il VII e il IX secolo case aristocratiche in blocchi di tufo.

Di epoca medievale è la cosiddetta Torre del Papito che occupa l'angolo Sud-Est dell'area, appartenuta alla famiglia dei Papareschi (detta anche del Papa).

Torre del Papito
Il portichetto con colonne di granito e di marmo bigio faceva parte di un edificio posto al centro dell'area di scavo, che durante la demolizione del quartiere fu smontato e posizionato accanto alla torre.

Torre del Papito e portichetto medievale
Questa torre non ha niente a che fare con la Torre Argentina da cui prende il nome l'Area Sacra.
Il nome "Argentina" deriva infatti dalla torre facente parte della cosiddetta Casa del Burcardo (oggi Museo Teatrale) in Via del Sudario, proprietà di Giovanni Burcardo, nome italianizzato di Johannes Burckardt, cerimoniere di cinque papi tra i quali Alessandro VI Borgia.
Il cerimoniere chiamò così la torre del suo palazzo perché egli era originario di Strasburgo, città chiamata "Argentoratum" per le sue miniere d'argento.
La torre non è più visibile perché fu capitozzata nell'800 e poi inglobata in una sopraelevazione del palazzo.


CONCLUSIONI
L'Area Sacra di Torre Argentina è al momento chiusa per restauro, e si può quindi ammirare solo dall'esterno.
Nonostante ciò, vale davvero la pena soffermarsi ad immaginare come poteva apparire in origine questa zona dell'antica Roma, e cercare di capire le trasformazioni architettoniche del sito.
Oggi sono visibili solo quattro templi repubblicani, ma si pensa che fossero almeno sei i luoghi di culto di quest'area (di altri due templi si sono individuate le fondamenta di peperino poggianti sull'argilla).
Speriamo che l'area ritorni al più presto fruibile al pubblico, perché camminare al suo interno credetemi, è davvero affascinante!
Chiedetelo ai gatti della colonia felina che dormono sui ruderi, padroni incontrastati di questa importante area archeologica!