sabato 25 marzo 2017

Le statue di Roma alle quali è stata data la parola


"Cristoggesummaria, cc'antro accidente!
Sete una gran famijja de bbruttoni.
E nnun méttete in pena ch'io cojjoni,
perché pparleno tutti istessamente.

Dar grugno de tu' padre a li meloni,
cuelli mosini, nun ce curre ggnente:
e ar vedé mmamma tua, strilla la ggente:
"Monaccallà, ssò ffatti li bbottoni?"

Tu, senza naso, pari er Babbuino:
tu' fratello è er ritratto de Marforio,
e cquell'antro è un po' ppeggio de Pasquino.
Tu e Mmadama Lugrezzia, a sti prodiggi,
v'amanca de fà cchirico Grigorio,
pe mmette ar mucchio l'Abbate Luiggi."
                                                                 "UNA CASATA" - Gioacchino Belli

I rappresentanti della cosiddetta "Congrega degli Arguti", ancor più noti come "Statue Parlanti", citati in questo sonetto di Gioacchino Belli, sono sei statue posizionate in strade del centro storico di Roma, percorse in tempo passato da cittadini romani, da pellegrini e da processioni papali.

I loro nomi sono: Pasquino, Marforio, Abate Luigi, Madama Lucrezia, il Babbuino e il Facchino.

Dal XVI al XIX secolo queste statue furono le portavoci dei dissensi del popolo e oggetto dell'attenzione di cardinali, nobili e uomini potenti, ma soprattutto dei sovrani romani, ossia dei papi che si sono succeduti durante questi secoli sul trono di S.Pietro.

Ad esse venivano infatti affissi componimenti satirici e critiche contro i governanti, le così chiamate "pasquinate", dal nome della statua parlante più famosa: il Pasquino.

Le "pasquinate" erano scritte in romanesco o in latino, e dato che la quasi totalità della popolazione romana era a quell'epoca analfabeta, si può dedurre che la satira irriverente e sincera fosse opera di cittadini non di umili estrazioni sociali.

Alcuni papi, capendo il potere che potessero avere questi scritti anonimi, che venivano affissi durante la notte approfittando del buio delle strade, fecero vigilare sulle statue giorno e notte, promettendo pene severe, provvedimenti che però non portarono ad alcun risultato.

Sono molte le "pasquinate" divenute celebri, ma volendo citare le più recenti, lo scorso secolo in occasione della visita a Roma di Hitler, la città fu tappezzata di cartone per nascondere la povertà della periferia, e comparve questa satira:
"Povera Roma mia in travertino!
T'hanno vestita tutta de cartone
pe' fatte rimirà da n'imbianchino
tuo prossimo padrone".
Durante la visita dello statista russo Mickail Gorbaciov fu questa invece la "pasquinata" scritta per l'occasione:
"La Perestrojka nun se magna
da du' giorni ce manni a pedagna
sarebbe er caso da smammà 
ce cominceno a girà".
Veniamo ora a conoscere le "statue parlanti " singolarmente.

Pasquino

Pasquino
Sicuramente Pasquino è la più famosa "statua parlante" di Roma.

Dal 1501 il Pasquino si trova dietro Piazza Navona, nella piazza che oggi prende il suo nome, ma che un tempo veniva chiamata Piazza Parione.

E' un busto maschile del I secolo d.C. in marmo, che forse faceva parte di un classico gruppo scultoreo in cui rappresenta re Menelao che porta via Patroclo colpito a morte da Ettore (Iliade - libro VII).
Probabilmente è la copia di un originale ellenistico in bronzo attribuito ad Antigonos, uno scultore di Pergamo del III secolo a.C.

La statua rappresenta quindi un eroe o un re dell'antica Grecia.
Faceva forse parte delle decorazioni del vicino Stadio di Domiziano (oggi occupato da Piazza Navona).

Fu ritrovato durante i lavori di pavimentazione stradale e ristrutturazione di Palazzo Orsini, l'attuale Palazzo Braschi, e posizionato per volere del cardinale Oliviero Carafa, cultore delle arti e mecenate, all'angolo di quello che allora era il suo palazzo, e per questo vi fece applicare lo stemma della sua famiglia insieme ad un cartiglio celebrativo.

Palazzo Braschi con la statua del Pasquino
Si dice che il nome della statua deriverebbe dal fatto che fosse stata ritrovata presso una bottega di un barbiere o di un'osteria, il cui proprietario si chiamava Pasquino, anche noto per i suoi versi satirici.
In alternativa si tramanda che vi fosse un docente di grammatica latina di una scuola nelle vicinanze, dalle sembianze simile alla statua, i cui studenti
lasciarono i primi fogli satirici.

Durante la festa di S.Marco (25 aprile) la statua, che si trovava lungo la cosiddetta Via Papale percorsa in processione dal papa, veniva abbigliata come fosse una divinità, e su di essa venivano collocati gli epigrammi dei certami accademici (gare letterarie), che si tenevano sulla piazza.

Il primo papa al quale venne indirizzata una "pasquinata" fu nel 1501 Callisto III:
"Ai poveri su' Apostoli la Chiesa
avea lasciato Cristo;
preda dei ricchi sui nipoti è resa
oggi dal buon Callisto".

Con queste parole papa Alessandro VI Borgia fu colpito dalla satira della statua:
"Qui giace Alessandro VI. E' sepolto con lui quanto venerò: il lusso, la discordia, l'inganno, la violenza, il delitto".
A papa Giulio II vennero indirizzate le pungenti parole:
"Sbagliò destino, Giulio, a darti le chiavi.
Avrebbe fatto meglio a darti le clave".

Una delle più conosciute "pasquinate" venne rivolta a papa Urbano VIII Barberini, per aver sottratto nel 1633 il bronzo dal Pantheon per costruire il baldacchino della Basilica di S.Pietro,:
"Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini
                                 ("Ciò che non fecero i barbari, fecero i Barberini").

A papa Alessandro VIII Ottoboni venne invece indirizzata la seguente:
"Allegrezza! Per un papa cattivo abbiamo Otto-Boni".  

Alla vicinanza della morte di papa Clemente XI  fu scritto:
"Dacci un papa miglior, Spirito Santo, 
che ci ami, tema Dio, né campi tanto".

Per le impertinenze che venivano affisse su questa statua parlante, papa Adriano VI diede l'ordine di gettare il Pasquino nel Tevere, ma la precoce morte del pontefice impedì questa perdita.
Per la morte di questo papa tumulato nella vicina Chiesa di S.Maria dell'Anima venne scritto:
"Papa Adriano è chiuso qui. Fu un tristo: 
con tutti ebbe a che far, fuorché con Cristo".

A Sisto V che tassava il popolo romano per ristrutturare Roma vennero rivolte le seguenti parole:
"Fu Neron crudel, maligno e tristo,
ma molto più di lui fu papa Sisto".
Venero rivolte queste parole a Donna Olimpia Pamphilj, detta la "Pimpaccia", la nobildonna che seppe manovrare il cognato papa Innocenzo X, che abitava a pochi passi dal Pasquino:
"Chi dice donna dice danno,
 chi dice femmina dice malanno,
 chi dice Olimpia Maldachina
 dice donna, danno e rovina".
 E ad Innocenzo X:
"Ad Innocenzo decimo, ottimo patrono del fisco e dell'annona massima mercante, che annientò il nepotismo per istituire il cognatismo".
Già nel 1509 fu pubblicata una raccolta delle famose "pasquinate".

Al Pasquino anche Trilussa dedicò un sonetto: 

Povero mutilato dar Destino,
come te sei ridotto!»
diceva un Cane che passava sotto
ar torso de Pasquino  
«Te n’hanno date de sassate in faccia!
Hai perso l’occhi, er naso… E che te resta? 
un avanzo de testa 
su un corpo senza gambe e senza braccia!
Nun te se vede che la bocca sola 
con una smorfia quasi strafottente…» 
Pasquino barbottò: «Segno evidente
che nun ha detto l’urtima parola».
Nino Manfredi nel film di Luigi Magni "Nell'anno del Signore" interpretò la parte di colui che si celava dietro la satira di Pasquino.

Marforio

Marforio
La "spalla" di Pasquino è stata spesso un'altra delle statue parlanti, la statua di Marforio.
 
La statua del II/III secolo d.C. lunga oltre 6m, ha le sembianze di un uomo barbuto disteso su un fianco, ed è ubicato oggi nel cortile di Palazzo Nuovo all'interno dei Musei Capitolini.

Proviene dalla parte settentrionale del Foro Romano, e rappresenta forse l'allegoria del Tevere o forse Oceano, divinità che soprintendeva a tutte le acque del mondo.

Nel 1588 Sisto V convertì la statua in fontana e la spostò prima in Piazza S.Marco, e poi sulla Piazza del Campidoglio.
Nel 1592 fu inserita qui in una quinta architettonica progettata da Giacomo della Porta.
Fu poi nel XVII secolo papa Innocenzo X a farla porre nel sito attuale, e nel 1733 in occasione della trasformazione dell'edifico in Museo Capitolino, fu inserita in un prospetto architettonico affidato a Filippo Barigioni.

Marforio nel prospetto architettonico di Filippo Barigioni
Per alcuni il soprannome della statua proverrebbe da "Marte in Foro" ("Martis Forum"), in quanto la statua originariamente si trovava presso il Tempio di Vespasiano, che nel Rinascimento era creduto essere il Tempio di Marte.
Il nome Marforio derivererebbe invece per altri dalla scritta non più visibile "Mare in Foro", teoria questa che propenderebbe anche per attribuire alla statua sembianze di divinità marina.

La grande vasca rotonda che accompagnava la statua fu invece lasciata nel Foro e, munita di un bocchettone scolpito da Giacomo della Porta, divenne un abbeveratoio per i cavalli e il bestiame.
La vasca fu poi trasferita nel 1816 da papa Pio VII sotto la statua dei Dioscuri posta davanti all'ingresso del Palazzo del Quirinale.

Tra le "botta e risposta" che Pasquino e Marforio si scambiavano una che riguarda l'occupazione francese del 1808/1814 è divenuta molto famosa:
Marforio: "E' vero che i Francesi sono tutti ladri?"
Pasquino: "Tutti no, ma Bona Parte".

Abate Luigi

Abate Luigi
Queste sono le parole dell'epitafio inciso sulla base di questa statua anch'essa membro della "Congrega degli Arguti":

"Fui dell'antica Roma un cittadino
ora abate Luigi ognun mi chiama
conquistai con Marforio e con Pasquino
nelle satire urbane eterna fama
ebbi offese, disgrazie e sepoltura
ma qui vita novella e al fin sicura".
(Giuseppe Tomassetti)

iscrizione sulla base della statua dell'Abate Luigi
La statua dell'Abate Luigi è posta lungo il muro sinistro esterno della Chiesa di Sant'Andrea della Valle in Piazza Vidoni, non lontana anch'essa da Piazza Navona.

Abate Luigi lungo il muro esterno della Chiesa di Sant'Andrea della Valle
Si tratta della statua in marmo bianco di epoca romana tardo-imperiale rappresentante un uomo vestito con toga che stringe in una mano una pergamena, un oratore, un console o un magistrato.

Fu rinvenuta agli inizi del Cinquecento durante gli scavi per l'ampliamento di Palazzo Caffarelli-Vidoni, area occupata in epoca romana dal Teatro di Pompeo.

Forse prese il nome di "Abate Luigi" dal nome di un sacrestano della vicina Chiesa del SS.Sudario, il quale vi assomigliava.

La statua cambiò collocazione diverse volte, ma nel 1924 fu infine riposizionata nella sua sede originale.
Dall'incrocio tra Via del Sudario e Vicolo dell'Abate Luigi (vicolo scomparso dopo il 1870), ornò poi lo scalone all'interno di Palazzo Caffarelli-Vidoni, fu spostata in seguito nel cortile di Palazzo Chigi in Piazza Colonna, e trasferita infine in Piazza Vidoni.

La statua dell'Abate Luigi oltre alla sede cambiò spesso anche la testa.
Gli venne sottratta più volte, e sostituita con una di quelle di epoca romana che si trovavano nei magazzini comunali, come nel caso del suo posizionamento in Palazzo Caffarelli-Vidoni nel 1888.
In quell'occasione la statua "disse" di "aver perso la testa" per essersi vista alloggiata in quella sontuosa dimora.

Nel 1966 nuovamente divenuta acefala la statua sentenziò:
"O tu che m'arubbasti la capoccia
vedi d'ariportalla immantinente
sinnò, vòi véde? come fusse gnente
me manneno ar Governo. E ciò me scoccia
".

Quando invece nel 1970 le fu di nuovo rubata la testa, le venne sostituita dal calco della copia che veniva conservata al Museo di Roma in Trastevere.
Fu decapitata ancora nel 2013, durante i lavori di restauro della Chiesa di Sant'Andrea della Valle, ma questa volta appunto le venne rubata solo una copia della testa, unica parte non originale della statua!

Madama Lucrezia

Madama Lucrezia
L'Abate Luigi dialogava spesso con un altro membro della "Congrega degli Arguti" posta non lontano da lui: Madama Lucrezia, l'unica statua parlante femminile.

Madama Lucrezia è collocata sin dal '400 tra il Palazzetto Venezia e la Basilica di S.Marco, ed è stata protagonista di "pasquinate" soprattutto tra il XIV e il XV secolo.

La statua fu posizionata su una base costituita da un blocco di travertino davanti alla Basilica di S.Marco dal cardinale Lorenzo Cybo nel 1500, e successivamente spostata a sinistra della chiesa, dove oggi si trova (Piazza S.Marco 49).

Madama Lucrezia davanti al Palazzetto Venezia
Il busto di donna di epoca romana alto 3 m apparteneva per le sue dimensioni probabilmente ad una statua di culto di un tempio.
Per lo scialle sfrangiato annodato sul petto si pensa che la statua rappresentasse l'immagine di Isis-Sothis sul cane Sirio o una sua sacerdotessa, e che provenga forse dalla fronte dell'Iseo del Campo Marzio, che si trovava dove oggi è il Collegio Romano.

C'è chi ha ipotizzato che il cosiddetto "Pie' di marmo", il grande piede in marmo posizionato su un piedistallo in Via del Pie' di Marmo, fosse il piede della statua alla quale anche Madama Lucrezia apparteneva, sia per la qualità del marmo che per le dimensioni compatibili.

Pie' di marmo (Via del Pie di Marmo)
Pie' di marmo
Pie' di marmo
La statua deve il suo nome molto probabilmente a Lucrezia d'Alagno, figlia del castellano di Torre del Greco, favorita di Alfonso V d'Aragona re di Napoli, la quale nel 1457, dopo la morte del re, si era trasferita a Roma, e che la statua le fosse stata regalata dal cardinale Pietro Barbo (futuro papa Paolo II), che la ospitava nel suo palazzetto di Piazza S.Marco.
L'appellativo "madama" a quell'epoca infatti non veniva usato a Roma, ma bensì a Napoli.

Madama Lucrezia
Un'altra tesi sostiene che Lucrezia fosse invece la moglie di mastro Giacomo dei Piccini da Bologna, che nel 1536 aveva proprietà in Piazza S.Marco, dove la statua ora si trova.

Chiunque passasse davanti alla statua di Madama Lucrezia doveva togliersi il cappello.

Il primo maggio la statua veniva ornata con collane d'aglio, peperoncino, cipolle e nastri, in occasione del "Ballo dei Guitti".
Durante questa festa le coppie si dovevano inchinare davanti alla statua celebrando un matrimonio fittizio, e davanti a lei ballavano giovani, gobbi, vecchietti e poveretti.
Inoltre si diceva che il mal d'amore potesse essere guarito toccando il petto della statua.

In occasione del trasferimento di papa Gregorio XIV in fin di vita nel Palazzetto Venezia, speranzoso di un miglioramento perché lì protetto da uno steccato che attutiva i rumori dell'esterno, la statua così sentenziò:
"La Morte entrò attraverso i cancelli".
Durante la Repubblica Romana (1799), il popolo in rivolta fece cadere la statua a terra e sulle spalle di Madama Lucrezia apparve la scritta:
"Non ne posso veder più".
In questa occasione la statua si ruppe in otto parti e venne restaurata nel 1806 da Annibale Malatesta.


Babbuino

Babbuino
La statua chiamata il Babbuino, o in romanesco "er Babuino", si trova nella strada che da lui oggi prende il nome, strada un tempo chiamata Via Clementina (da Clemente VII Medici) e poi Via Paolina (da Paolo III).

Fontana del Babbuino
Raffigura un Sileno ghignante disteso su un fianco, brutto e deforme, e per questo assomigliante ad una scimmia, un "babbuino" appunto.

Forse si può anche identificare come il dio sabino Sanco Fidio Semicapro, metà uomo e metà capra, 

La statua in tufo, con testa non pertinente, ha davanti una vasca termale in marmo africano di epoca romana.

La fontana ad uso pubblico fu infatti realizzata per volere di Alessandro Grandi in onore di papa Pio V, il quale nel 1571 gli aveva concesso l'utilizzo dell'acqua dell'Acquedotto Vergine per il suo palazzo che in questa via si trovava.

La fontana semipubblica venne usata sin dal Rinascimento come abbeveratoio per cavalli.

Nel 1738 Palazzo Grandi passò ai Boncompagni-Ludovisi e la fontana e la statua furono spostate davanti al nuovo palazzo, e posizionate in una nicchia sormontata da due delfini, simboli araldici della famiglia Boncompagni. 

Nel 1877 la fontana venne smembrata per la costruzione della rete fognaria: la vasca quadrangolare divenne una fontana in Via Flaminia, davanti alla Fontana di Giulio III, mentre la statua fu posizionata all'interno dell'ex Palazzo Boncompagni.

Palazzo Boncompagni-Cerasi
La nicchia che la conteneva divenne una porta d'ingresso del palazzo (Via del Babuino 49), oggi ancora esistente.

nicchia della Fontana del Babbuino divenuta ingresso di Palazzo Boncompagni-Cerasi
delfini simboli araldici della famiglia Bonconpagni
Nel 1957 poi venne recuperata la vasca e collocata con la statua sul lato opposto della strada, davanti alla Chiesa di Sant'Attanasio dei Greci.


Facchino

Facchino
La più recente e la più piccola delle sei statue parlanti è il così chiamato Facchino, in quanto è stata realizzata tra il 1587 e i 1597.

Si trova dal 1874 in Via Lata.

fontana del Facchino sulla facciata laterale di Palazzo De Carolis
Originariamente decorava la facciata principale di un palazzetto di Via del Corso (posta a sinistra sotto la prima finestra del pian terreno), il cui posto fu preso nel '700 dal Palazzo De Carolis (oggi noto come Palazzo del Banco di Roma).

La sua incorniciatura cinquecentesca aveva un'architrave retta da pilastrini e una vasca con piede, andata perduta durante il passaggio di proprietà del palazzetto dal Del Conte a De Carolis.

La figura maschile che rappresenta la statua in marmo caristo (o cipollino), è colta nell'atto di versare acqua da una botte.
E' vestita con il costume tipico della corporazione dei facchini, e a questo deve il suo nome.
In realtà la corporazione dei facchini comprendeva gli acquaroli, coloro i quali riempivano le botti con l'acqua del Tevere o della Fontana di Trevi durante la notte, e di giorno portavano l'acqua porta a porta a pagamento.
Molti facchini si erano stabiliti nella zona dove è collocata questa statua parlante.
Questo mestiere fu in uso fino alla riattivazione degli acquedotti.

Qualcuno ha voluto riconoscere nella figura della fontanella un certo Abbondio Rizzio, personaggio famoso per le sue bevute.
Un'epigrafe scomparsa durante il trasferimento in Via Lata diceva:

"Ad Abbondio Rizio, coronato [facchino] sul pubblico selciato, valentissimo nel legar fardelli. Portò quanto peso volle, visse quanto poté; ma un giorno, portando un barile di vino in spalla e dentro il corpo, contro la sua volontà morì".

Il Facchino fu forse disegnato da Jacopino Del Conte, proprietario all'epoca del palazzetto, ma alcuni (tra i quali Vanvitelli), pensarono che l'autore fosse stato Michelangelo.

La fontana ad uso pubblico veniva alimentata dall'Acqua Vergine.


CONCLUSIONI
In un'epoca in cui non vi erano gli odierni mezzi di comunicazione, senza TwitterFacebook, le "pasquinate" furono il mezzo più efficace per esprimere malcontento, risentimenti e malumori, interpretando e dando voce ai pensieri del popolo romano, stanco dei soprusi dei potenti.
Con battute pungenti, sagaci, immediate, sincere, e a volte spietate, queste statue di pietra hanno potuto prendere vita e parlare al posto dei più deboli, prendendo in giro coloro che sembravano intoccabili, e che costituivano una vera casta.
Le statue parlanti erano un sorta di "stampa dell'opposizione", in un'epoca nella quale non vi era libertà di pensiero.
Oggi invece, per i fatti che ogni giorno capitano nell'Urbe, non solo i cittadini ma anche queste statue rimangono senza parole!

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