martedì 1 maggio 2018

Roma: la Chiesa di S.Vito e la sua area archeologica


La Chiesa di S.Vito si trova nel Rione Esquilino, una delle più antiche zone di Roma antica.

In epoca regia, questo colle costituiva un'area periferica rispetto al nucleo dove erano sorte le prime capanne che diedero origine alla città.

Era questa una zona di boschi ai quali erano legati antichi culti pertinenti alla necropoli che si era man mano sviluppata in quest'area.
La legge delle dodici tavole infatti stabiliva che ogni cosa connessa con la sfera della morte fosse relegata fuori della città.
In una foresta sacra (lucus Libitanae), posta tra l'attuale Piazza Vittorio e l'antica Porta Esquilina doveva essere stata adorata Libitina, una divinità della sepoltura il cui culto risalirebbe all'epoca di Numa Pompilio, il secondo re di Roma, o di Servio Tullio, e il cui nome derivererebbe da "libare", cioè dalle "libagioni" che si versavano quando si seppellivano i morti.
A testimonianza della presenza di questo culto sull'Esquilino, fu rinvenuto a fine Ottocento un pozzo nel quale, come d'uso, venivano posti i materiali votivi offerti a questa divinità arcaica romana incaricata di badare ai riti e ai doveri che si dovevano tributare ai morti.
CURIOSITÀ: il nome Libitina venne nel tempo confuso con il temine "libido" (passione), o "ad libitum" (lasciarsi andare) e per questo associata alla dea degli sfrenati piaceri sessuali, Venere Libitina.
Inoltre essendo una divinità che si prendeva cura dell'aldilà, a lei si rivolgevano streghe e fattucchiere.
Ai Musei Capitolini si trova un frammento in terracotta dipinta raffigurante la corazza di un guerriero o di un'amazzone ferita proveniente da un edificio di culto dell'Esquilino legato a questa divinità.

frammento di guerriero ferito (V sec. a.C. - Musei Capitolini)
Sull'Esquilino una necropoli iniziò a svilupparsi tra il IX e l'VIII secolo a. C.
Nel III secolo a.C. sui due lati della Via Labicana, una delle più antiche strade che dal colle conduceva nella valle dove poi sorse il Colosseo, si vennero a localizzare due sepolcreti:

- sul lato settentrionale della via il Campus Esquilinus, costituito da lotti che lo Stato concedeva a
  privati e dove potevano essere costruiti sepolcri per coloro che avevano difeso la res publica con
  eroismo.

Nel museo della Centrale Montemartini si trovano reperti provenienti da questo sepolcreto, tra i quali gli affreschi di III secolo a.C. con scene militari che si trovavano nel Sepolcro dei Fabii.

sala del museo della Centrale Montemartini con reperti provenienti dalla necropoli dell'Esquilino
affreschi del Sepolcro dei Fabii (Centrale Montemartini)
- sul lato meridionale della via si trovava Commune Sepulcrum, per coloro che non erano in grado di
  pagarsi le spese per la sepoltura (forse una fossa comune).

Questa zona sepolcrale fu interrata di almeno 6m alla fine dell'età repubblicana, e una volta bonificata fu occupata dai cosiddetti horti, giardini che racchiudevano bellissime opere d'arte che ritroviamo in alcuni musei della città.

Solo nel VI secolo a.C. parte dell'area dell'Esquilino venne inglobata nella prima cinta muraria voluta da Tarquinio Prisco e terminata dal suo genero e successore Servio Tullio, sesto re di Roma.
Si tratta delle Mura Serviane
Fino ad allora Roma era costituita da più villaggi separati abitati da diverse popolazioni aggregate tra loro che occupavano i colli intorno al Palatino.
Ogni villaggio disponeva di un proprio sistema di difesa.
Le mura che vennero erette erano alte 6m con parti in muratura in cappellaccio (tufo dell'area di Roma), filari di blocchi disposti alternativamente di testa e di taglio, delle quali però poco rimane.

Rimangono resti più cospicui, sparsi in varie zone della città, delle mura di IV secolo a.C. (chiamate sempre Mura Serviane), costruite dopo l'occupazione gallica del 390 a.C., seguendo lo stesso percorso di quelle più antiche, ma in blocchi di tufo di Grotta Rossa, territorio conquistato nel frattempo a Veio.
Queste mura erano alte 10m e avevano uno spessore di 4m, erano lunghe 11km e circondavano un'area di 426 ettari.

Di queste mura si possono ritrovare delle emergenze in Via Carlo Alberto, a Largo Leopardi vicino all'Auditorium di Mecenate, alla Stazione Termini e soprattutto nei giardini dell'Acquario Romano a Piazza Manfredo Fanti costituite in gran parte, in questa zona di Roma pianeggiante e quindi più debole, dal cosiddetto agger, caratterizzato all'interno da un terrapieno, e all'esterno da un fossato profondo 17m e largo 36m.(ad esso si addossò poi un edificio di età imperiale).

tratto di mura di IV secolo a.C. in Via Carlo Alberto
Giardini dell'Acquario Romano con resti di mura di IV secolo a.C.
Giardini dell'Acquario Romano con resti di mura di IV secolo a.C.
Giardini dell'Acquario Romano con resti di mura di IV secolo a.C.
Giardini dell'Acquario Romano con resti di mura di IV secolo a.C.
Nel tratto orientale delle mura si trovavano due ingressi alla città: la Porta Viminalis (a Nord-Ovest) e la Porta Esquilina (a Sud-Est).

Dalla Porta Esquilina uscivano due strade: la Via Labicana (che conduceva a Labicum, l'attuale Montecompatri, e che a Porta Maggiore dava origine alla Via Prenestina, che prendeva il nome dall'antica Praeneste, oggi Palestrina), e la Via Tiburtina (che portava a Tibur, l'attuale Tivoli).


Dal Foro Romano salivano tra il colle Oppio e il Cispio fino alla porta il Clivius Suburanus (le attuali Via di S.Lucia in Selci/Via di S.Martino/Via di S.Vito) e il Vicus Sabuci (le attuali Via di S.Pietro in Vincoli/Via delle Sette Sale). .

Quando sotto Augusto le Mura Serviane vennero quasi soppresse per l'allargamento della città che non necessitava più di essere difesa, la Porta Esquilina  originariamente costruita in blocchi di tufo, venne monumentalizzata e ricostruita in travertino.

ipotesi ricostruttiva dell'Arco di Gallieno (secondo Rossini)
ipotesi ricostruttiva dell'Arco di Gallieno (secondo Giuliano da Sangallo)
La porta fu trasformata in un arco a tre fornici: quello interno più alto e più largo di quelli laterali.
L'arco era scandito esternamente da paraste corinzie, e nella parte interna presentava solo cornici e pilastri angolari corinzi.

pilastro corinzio dell'Arco di Gallieno
Quest'arco era anche detto Arco Picto perché intonacato e dipinto.

L'iscrizione dedicatoria originale di età augustea si trovava in parte nell'attico (andato perduto), e di essa rimangono solo alcuni segni di cancellatura.

Arco di Gallieno
L'arco prese poi il nome di Arco di Gallieno da quando, in memoria dell'imperatore Publio Licinio Egnazio Gallieno, assassinato nel 268 d.C. dai suoi stessi ufficiali, lo storico romano e prefetto dell'Urbe Marco Aurelio Vittore fece apporre, sulla cornice sottostante l'attico di quella porta che l'imperatore attraversava per recarsi nella sua villa suburbana (Horti Liciniani), posta nell'area dell'attuale Stazione Termini, un'iscrizione dedicata all'imperatore e a sua moglie Cornelia Salonina:
"GALLIENO CLEMENTISSIMO PRINCIPI CVIVS INVICTA VIRTUS SOLA PIETATE SUPERATA EST ET SALONINAE SANCTISSIMAE AUG. M. AVRELIUS VICTOR DEDICATISSIMVS NVMINI MAIETSTAIQUE EORVM"
"A Gallieno, clementissimo principe, il valore invitto del quale è superato solo dalla sua religiosità, e a Salonina, virtuosissima Augusta Aurelio Vittore, uomo egregio, devotissimo agli dei e alle loro maestà".
iscrizione dedicatoria sull'Arco di Gallieno
Di quest'arco rimane oggi solo il fornice centrale, addossato da una parte da un edificio di fine Ottocento, mentre dall'altro alla Chiesa di S.Vito.
Di uno dei due archi minori laterali rimane traccia nel punto di congiungimento tra arco e chiesa.

Chiesa di S.Vito e fornice centrale dell'Arco di Gallieno
quel che resta del fornice laterale dell'Arco di Gallieno
Non si hanno notizie certe sull'origine della Chiesa di S.Vito, ma si presume che risalga al IV secolo d.C.

Si sa con certezza che la chiesa venne restaurata da papa Stefano III nel 768 e che le venne dato il titolo di "S.Vito in Macello Liviae" per la vicinanza del luogo di culto con il Macello Liviano (Macellum Liviae), il mercato alimentare che Augusto aveva fatto costruire e dedicato alla moglie Livia (e inaugurato dal figlio Tiberio nel 7 a.C.),  appena fuori dalla Porta Esquilina .

La chiesa appare per la prima volta come diaconia nella biografia di Leone III (VIII secolo): nel Liber Pontificalis la chiesa era citata tra quelle che ricevevano doni da questo papa.

Nel 1477 papa Sisto IV della Rovere riedificò la chiesa nel luogo attuale.
Papa Gregorio XVI commissionò nel 1836 i restauri della chiesa a Pietro Camporesi il Giovane.
Nel 1900, in occasione del Giubileo che si celebrava in quell'anno, il cardinale Cassetta a sue spese fece cambiare dall'architetto Alfredo Ricci l'orientamento della chiesa, spostando la facciata su Via Carlo Alberto (via prima denominata Strada Felice).
Il Ricci si occupò anche della costruzione del campanile a fianco della nuova facciata.

iscrizioni che ricordano i restauri della chiesa
Un nuovo restauro venne realizzato tra il 1973 e il 1977 ripristinando l'orientamento originale della chiesa e il suo originale altare maggiore, tamponando le finestre aperte in epoca barocca e riaprendo le bifore quattrocentesche (precedentemente chiuse).

La chiesa è intitolata oltre che a S.Vito anche a S.Modesto e Santa Crescenzia, rispettivamente maestro e nutrice di S.Vito.
I tre Santi martiri paleocristiani subirono il martirio in Lucania durante le persecuzioni di Diocleziano (IV secolo): furono bolliti in un calderone o forse decapitati.
S.Vito uno dei quattordici Santi Ausiliatori (i Santi invocati per guarire da certe malattie): è il santo protettore dei danzatori e degli epilettici, invocato da chi veniva morso da cani rabbiosi o da altri animali velenosi, e da chi soffriva di letargia e di corea (malattia anche chiamata "ballo di S.Vito").
La facciata più antica della chiesa che affaccia su Via S.Vito, presenta un tetto a capanna, un grande oculo centrale e un portale con stipiti in marmo che riportano la data della costruzione della chiesa e il nome di papa Sisto IV che la fece erigere.

facciata della Chiesa di S.Vito su Via di S.Vito
stipite del portale della Chiesa di S.Vito con iscrizione della costruzione ad opera di papa Sisto IV nel 1477 e stemma scalpellato
La facciata del 1900 che affaccia su Via Carlo Alberto ha invece un portale con stipiti in travertino, affiancato da paraste doriche, un fregio con triglifi e metope, finestra semicircolare con rosette, una finestra rettangolare circondata da festoni e testa alata di putto, e un timpano con croce.

campanile e facciata della Chiesa di S.Vito su Via Carlo Alberto
Sui fianchi laterali esterni della chiesa si possono vedere le fondamenta antiche della chiesa (il piano di calpestio si è infatti abbassato di 60/70cm), le finestre barocche tamponate e le bifore goticizzanti originali.
Il campanile è a pianta poligonale e presenta aperture ad arco.

fianco laterale esterno della Chiesa di S.Vito con bifore
fianco laterale esterno della Chiesa di S.Vito con bifora
L'interno della chiesa è a pianta rettangolare con abside semicircolare e presenta un soffitto cassettonato con lacunari di forme diverse.
Il soffitto ligneo un tempo presentava al centro la tela con il Paradiso, rimossa durante gli ultimi restauri.

aula basilicale della chiesa
soffitto ligneo a cassettoni
Della decorazione ottocentesca rimangono solo poche tracce.L'originale pala d'altare era un affresco staccato e riportato su tela raffigurante una Madonna col Bambino e S.Bernardo, che fu rimosso alla fine dello scorso secolo e poi andato perduto.
Al suo posto è stata posta la riproduzione di un Crocifisso classico.

riproduzione di Crocifisso classico
Sulla parete sinistra si trova uno dei due altari ad edicola della chiesa.
Su questo altare del XIX secolo è raffigurata la Vergine che offre il rosario ai Santi Domenico e Caterina da Siena.

altare ad edicola del XIX secolo
Madonna che offre il rosario ai Santi Domenico e Caterina da Siena (XIX sec.)
Lungo la parete sinistra si trovano anche il dipinto dell'Immacolata di Pietro Gagliardi (XIX secolo) e il piccolo monumento funebre del cardinale Carlo Visconti  che fu cardinale titolare della chiesa.

Immacolata (Pietro Gagliardi - XIX sec.)
monumento funebre del cardinale Carlo Visconti
Sulla parete destra della chiesa durante i lavori di restauro del 1972 è stato riportato alla luce un altare ad edicola con affresco attribuito ad Antoniazzo Romano (1483).
L'affresco quattrocentesco raffigura  la Madonna col Bambino e Santi.

Madonna col Bambino e Santi (attr. Antoniazzo Romano - 1483)
Nella parte alta dell'affresco è stata dipinta la Madonna in trono col Bambino e Santa Crescenzia e S.Modesto (con mantello da pedagogo).

Madonna in trono col Bambino e i Santi Modesto e Crescenzia (attr. Antoniazzo Romano - 1483)
Nella parte bassa dell'affresco sono raffigurati S.Sebastiano, Santa Margherita e S.Vito (in abiti rinascimentali con mantello e mazzocchio su capo).

S.Sebastiano (attr. Antoniazzo Romano - 1483)

Santa Margherita (attr. Antoniazzo Romano - 1483)
S.Vito (attr. Antoniazzo Romano - 1483)

































Sull'arco dell'edicola è rappresentato Cristo benedicente.

Cristo benedicente (attr. Antoniazzo Romano - 1483)
L'altare fu commissionato e pagato da tre famiglie di origine fiorentina: i Peruzzi, i Macchiavelli e i Federighi, dei quali si vedono rappresentati gli stemmi araldici.

stemmi araldici sulle mensole dell'edicola (famiglia Peruzzi a sinistra - famiglia Macchiavelli/Federighi a destra)
Accanto a questo altare si trova la cosiddetta "pietra scellerata", che prende il nome dal vicolo dal quale proviene.
"pietra scellerata"
La tradizione vuole che su questa pietra fossero stati martirizzati alcuni Santi.
Per questo motivo la pietra, come si può notare, veniva raschiata e il materiale ottenuto assunto dalle persone morse dai cani arrabbiati.

Tra coloro che guarirono grazie a ciò, vi fu anche nel 1620 il principe Federico Colonna di Palliano, come ricorda una lapide murata sulla parete sinistra della chiesa, vicino all'ingresso.

stemma della famiglia Colonna e lapide con iscrizione della guarigione avvenuta
In realtà è questo un cippo funerario antico con epigrafe in memoria di Elio Terzo Causidico.
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Si è da poco tempo riaperta l'area archeologica posta al di sotto della Chiesa di S.Vito, venuta alla luce nel 1972 durante i lavori di restauro della chiesa.


Area archeologica dei sotterranei della Chiesa di S.Vito
L'accesso all'area archeologica avviene tramite l'ingresso della chiesa posto su Via Carlo Alberto, ormai in disuso.

In questo ambiente semisotterraneo sono emerse diverse testimonianze antiche.
Risalgono all'epoca regia porzioni delle mura serviane di VI secolo a.C. di cappellaccio (un tipo di tufo friabile proveniente da Roma) e i piloni squadrati della prima Porta Esquilina, un varco con orientamento Nord-Sud.

blocchi di cappellaccio delle mura serviane di VI secolo a.C. disposti di testa e di taglio
Inoltre si sono individuati i resti della seconda Porta Esquilina, con orientamento Est-Ovest,  mettendo in luce l'angolo ottuso formato dalle mura di IV secolo a.C.. 

resti dei piloni della seconda Porta Esquilina (sul fondo della foto) e basolati di strada romana che usciva dalla porta
Si sono ritrovati anche basolati appartenenti ad un breve tratto della strada romana che usciva dal terzo fornice laterale dell'Arco di Gallieno e si dirigeva verso l'arco monumentale (che venne poi inglobato tra il 270 e il 275 d.C. da Aureliano nelle mura da lui costruite), costruito da Augusto nel 5 a.C. per l'attraversamento degli acquedotti dell'Aqua Marcia, Tepula e Iulia sulla Via Tiburtina

Si sono anche ritrovati un castellum aquae dell'Anio Vetus, il secondo acquedotto dopo quello Appio,  costruito nel 272 a.C.

castellum aquae dell'acquedotto Anio Vetus
Questo acquedotto, che proveniva dalla zona di Vicovaro, arrivava a Roma tramite uno specus sotterraneo nell'area dell'attuale Porta Maggiore (chiamata Ad Spem Veterem), e da lì il percorso continuava sino a Porta Esquilina, dove appunto confluiva in questo castellum aquae.
Un pozzo costruito in lastre bipedali di peperino collegato ad un canale e un pozzo rettangolare poi interrato, fanno parte, insieme a due tratti dello specus augusteo intonacato nel I secolo d.C., di queste strutture idrauliche.

specus augusteo
specus augusteo
secondo tratto di specus augusteo
I canali di scolo del castellum aquae non più utilizzati, disposti ai margini della strada, hanno poi accolto in epoca cristiana delle sepolture (soprattutto di bambini), di cui ancora emergono alcune ossa. 

canale di scolo da cui emergono ossa umane
piccolo canale di scolo per piccole sepolture e materiali ed elementi architettonici usati per le fondamenta della chiesa
Si sono ritrovate anche delle tombe a cappuccina che avevano usato tegole ad aletta.
Una tegola presenta un bollo con monogramma costantiniano.

tegole ad aletta usate per sepolture a cappuccina
Gli ambienti della diaconia del IV secolo d.C., con affaccio sulla strada romana, sono stati identificati vicino al castellum aquae (lungo il lato nord dell'attuale chiesa).

arco di sostruzione con ingresso agli ambienti della diaconia di IV secolo d.C.
Sono riemerse anche le strutture rinascimentali della chiesa di Sisto IV, per le cui fondamenta furono  utilizzati materiali architettonici antichi di marmo e di travertino.
Infine si possono notare più strati di pavimentazione di epoche diverse.

strati di pavimentazione
www.sanvito-roma.it
Orario provvisorio: 
primo sabato del mese 9.00/12.00    prima domenica del mese  16.00/19.00
Costo:     2€


CONCLUSIONI
L'area archeologica della Chiesa di S.Vito è estremamente importante per la ricostruzione topografica del Rione Esquilino e della Roma antica.
L'area dell'Esquilino presa in esame era considerata da Orazio nel I secolo a.C. una zona di ossa, streghe e meretrici.
Oggi è un interessante sito nel quale scoprire un percorso storico che dall'epoca regia si evoluto sino ai nostri giorni.


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